Vi presento il Phygital: sta cambiando tutto, anche i soldi

 
By Roberto Ferrari – chefuturo.it
 
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Phygital: prepariamoci a incontrare sempre più spesso questa parola, che diventerà una delle buzzword principali dei prossimi anni.

Coniato qualche anno fa da Momentum Worldwide, un’ agenzia marketing globale, il termine phygital nasce come descrizione del fenomeno della convergenza o meglio della interazione tra il mondo fisico-analogico e quello digitale. Da tale interazione nascono esperienze ibride completamente nuove , dal digitale verso il fisico e viceversa.

Proprio perché concepito come ibridazione dei due mondi il concetto di phygital si allarga sempre più e tende ormai a includere altri macro trend e fenomeni conosciuti come l’internet of things (ioT), l’object hyperlink, l’augmented reality ecc.

Ci avete mai fatto caso? Ma siamo già con un piede dentro un mondo che si sta muovendo a passi da gigante verso piattaforme, esperienze e soluzioni phygital.

Ogni qualvolta un oggetto fisico sia connesso con una piattaforma digitale per diventare portatore di informazioni su cui si innescano azioni ed esperienze siamo nel phygital.

Senza scomodare la piattaforma di Nike +, oppure i  Google Glass, prototipo-evento dell’anno, o il  wall interattivo di Tesco-Homeplus in Corea con il quale è possibile ordinare la spesa nella metro, fotografando un prodotto su un immagine dello scaffale, ormai  già da un po’ stiamo facendo esperienze phygital forse piu’ elementari ma essenziali perché con esse aziende, enti, e clienti testano il nuovo mondo.

Anche in Italia i primi progetti di Bike Sharing dei vari comuni, si pensi ad esempio a BikeMi a Milano dalla cui APP è possibile visualizzare real time location e disponibilità delle bici in sharing, cominciano a utilizzare piattaforme ibride cioè phygital. O ancora, c’è il  pagamento dei bollettini dal cellulare con le APP di Bancoposta o di diverse banche o  l’uso dei bar code o dei QR code (anche con l’APP   italiana  di Amazon è possibile, fotografando il codice a barre di un libro in un bookshop, trovarne immediatamente l’offerta on line e con un click ordinarne l’acquisto),  o ci sono le  prime interazioni phygital nei pub e nei bar con Foursquare o perfino le recenti lavatrici Smart Wi-fi che si attivano anche da lontano. Roba che solo pochi anni fa sembrava fantascienza!

Così l’Internet of things, termine direi quasi tecnico, si evolve in phygital, si passa dalle cose, dalla tecnologia all’esperienza, al cliente, alla vita reale.

Dai primi casi partiti con i codici RFID, QR code ecc e dalle prime APP collegate al mondo retailing si andrà verso esperienze più integrate ed ibride, fino ad includere, se ci pensiamo bene, anche le stesse stampanti 3D, sublimazione del concetto, che trasformano informazioni e codici real time in oggetti.

Non solo dal fisico al digitale ma anche dal digitale al fisico.

In questa evoluzione, il retailing sta subendo e subirà sempre più trasformazioni epocali, più che generate dal semplice boom dell’e-commerce proprio dall’ibridazione dei due mondi.

Anche il retailing dei servizi finanziari e bancari è prossimo ad una forte rivoluzione nel modo in cui gestiremo i nostri soldi , i risparmi e i nostri acquisti. E questo, data l’universalità del servizio avrà un forte impatto generalizzato sul modo in cui viviamo.

Si apre quindi uno scenario molto interessante di evoluzione nel settore, anche in Italia che comunque vanta una buona base di partenza: oltre 13-14 milioni di persone che hanno un conto di internet banking attivo, sempre  14 milioni che fanno e-shopping. Già per fine 2013 oltre 3 mln di persone avranno usato servizi di mobile banking piu’ del doppio rispetto a due anni fa.  Già nel 2012 il mobile payment in Italia ha generato transazioni per 1 miliardo di Euro e ci si aspetta che per il 2016 supererà i 5 miliardi.

Che cambiamenti ci attendono?

Nei pagamenti retailing off-line al di là dei vari pilota NFC, già lanciati da tutte le MNO  e da tutti i principali gruppi bancari in Italia, lo scenario è di una possibile rivoluzione phygital nei punti vendita. Stesso dicasi nell’uso degli strumenti di banking veri e propri.

Gli  acquisti nei punti vendita da smartphone non solo contactless (ossia senza la classica strisciata) ma anche digitali cambieranno.

In USA, e non solo, nuove idee sono armai sul mercato, da Square alla stessa PayPal(oltre 130 milioni di wallet nel mondo che aspettano di trovare il loro utilizzo nel mondo off-line), al Google Wallet, al lancio da parte di Apple di Passbook e  della nuova funzione di riconoscimento via fingerprint.

Il fenomeno del “Mobile POS”, del POS mobile dotato di software di pagamento, integrato ad un registratore di cassa, che interagisce digitalmente con un wallet o direttamente con una carta di pagamento non è una moda di passaggio, già nel 2013 in Nord America supererà il valore di 2 miliardi di dollari, non di transato cliente, ma di vendite hardware e software di piattaforme ai retailer. Arriverà presto da noi. Ci sono già le prime iniziative.

E nel banking ci sono sempre più esempi di nuove piattaforme.

Vedremo video-ATM, ossia terminali ATM video assistiti da un operatore remoto, che sono già stati lanciati, in Turchia (già dal 2009), in USA (Bank of America, Mercantile Bank etc) nella solita Corea, in Brasile ecc, e diverse sono le nuove piattaforme in sviluppo, alcune in via prototipale anche in Italia, che tra non molto vedremo comparire.

Questo non solo porterà alla nascita delle filiali senza personale ma anche all’uso del personale bancario in filiale per video-chattare dalla filiale direttamente con i propri clienti.

Ancora, la video-chat sarà i modo con cui in futuro useremo il nostro home banking, parlando se vogliamo con un operatore bancario sia del contact center che della nostra filiale, anche qui ci sono già casi di successo prevalentemente europei mBankla principale banca virtuale in Polonia, La Caixa, ecc.

E’ già perfino partita la sperimentazione con i Google Glass. Banco Sabell in Spagna ha creato un app per i Google Glass che supporta il video conferencing tra cliente e banca.

Non basta?

La diffusione dei tablet cambierà l’uso fisico dello sportello bancario rendendolo più mobile e più touch, le vetrine saranno schermi interattivi, il wifi sarà la norma (almeno per chi sarà in grado di evolversi) e la diffusione del mobile banking su smartphone porterà ad una ulteriore ibridazione (interazioni con ATM: prelievi e versamenti senza inserimento della carta, check in in filiale e modelli di servizio rivisti).

Quando poi verrà sdoganato in Italia dai regulator anche l’uso della camera dello smartphone per la digitalizzazione del versamento assegni, anche questi diventeranno phygital – in USA è già cosi.

Il boom del phygital nei servizi finanziari, la vera trasformazione,  comunque, potrà avvenire quando si realizzerà quello che io chiamo il   ”phygital 2.0” , con l’ingresso pesante della biometrica nelle interazioni tra cliente e piattaforme, tra fisico e digitale.

Ricordate Minority Report? O Gattaca? Lontano?

Nooo,  vicinissimi!

La biometrica  sarà probabilmente la vera killer app, lo spartiacque.

Garantendo il riconoscimento sicuro digitale del cliente, non solo con la grafometrica, che già inizia a essere usata in Italia dalle banche – ma anche con riconoscimenti vocali, o con le impronte digitali o ancora con il riconoscimento dell’iride. Già oggi c’è chi sta sperimentando le varie opportunità.

Quale delle tre (vocale, impronta, iride) vincerà oggi è ancora difficile dirlo. Anche in questo caso, come per ogni innovazione di successo, prevarrà quella la cui diffusione sarà più semplice, diffondibile, accettata da noi persone/clienti in maniera spontanea come estensione naturale, del nostro essere e del nostro interagire.

Roberto Ferrari

Is luxury heading into recession in 2014?

by Oliver Petcu (www.cpp-luxury.com)

With most luxury groups as well as independent players reporting slower sales growth in the past 9 months across all luxury sectors, the industry seems to be heading towards a more sensitive year in 2014, in some cases, certain brands likely to register decrease in sales and profitability.

The increase in prices of raw materials as well as shortage in precious materials, more expensive real estate and macroeconomic and political instability – have all been contributing to a poorer performance for most luxury sectors, some companies reporting 2013 as the worst in the past 3 years. Two other important factors leading to slower performance have been: a major change in product development, especially due to the growing influence of emerging markets and an increasingly powerful indirect competition from non-luxury sectors.

With wealthy consumers allocating a larger budget to technology, especially gadgets, spending on luxury products, especially the uber luxury ones such as watches or cars has, has taken an indirect hit. Indirect competition has also been increasing steadily from travel, Spas and beauty/wellness. Cars and yachts tend to be leased rather than acquired, the same trend being registered by residential real estate, especially seasonal – vacation destinations.

Overall, luxury brands have been seeing a growing lack of loyalty from traditional consumers in both mature and emerging markets, which has prompted many of the top players to increase advertising spending, both traditional and online. The notion of a luxury lifestyle which HNWI or UHNWI would boast is obsolete. Nowadays, social status can also be achieved through mix & match, which has become a powerful statement especially in mature markets such as the U.S., Japan or the U.K. The era of a ‘luxury consumer’ who plays golf, wear a full look of a certain luxury brand, prefers a particular watch, vacations at certain hotel chains – is gone !

Recent moves and developments in luxury fashion and accessories only come to reinforce the looming recession of 2014:

– major re-organization at the Richemont Group, world’s second largest luxury conglomerate, with the confirmed sale of Lancel, Chloe and Baume & Mercier, to which Alfred Dunhill could add within the next 6 months

– the pressure on improving financial performance and growth for the smaller luxury fashion brands of the LVMH Group – Givenchy, Emilio Pucci, Kenzo and Thomas Pink

– the weakness of LVMH’s watches and jewelry division, with pressure from the recently acquired Bulgari which has been struggling for a re-positioning of its watches division but also the lack of an haute joaillerie watches brand in the portfolio of LVMH

– the pressure on less performing brands such as Sergio RossiBalenciaga and Brioniwithin the Kering Group which is also struggling with its worst performing brand, Puma, in its Sports division

– major luxury powerhouses such as Louis VuittonGucciChanel and Giorgio Armanicould see closure of at least 10 percent of their retail network, especially in China, the U.S. and Russia

– most dynamic brands in 2013, such as Prada could see a slow down in retail development, opening less stores in 2014 – the group having already reported slower growth in 2013, not to mention the poor performance of Prada Group brands such as Car Shoe and Church’s

– medium sized groups such as Aeffe and Ittierre could also see further weakness in 2014, hence their motivation to likely offload less profitable brands

– Ralph Lauren could compensate slow down across all its markets and weaker presence in key emerging markets by new acquisitions in 2014

2014 is also likely to speed up the sale of groups such as Armani Group and Versace or otherwise decline in valuation. Democratic luxury positioned brands such as Michael Kors,BurberryLongchamp or Coach may continue the upward trend in 2014, filling in the gaps created by indirect competition.

Recently revived luxury brands such as BelstaffMulberryCourreges or Bally are also likely to continue their growth path, thanks to their positioning and lesser retail exposure and no threat of banalization. Powerhouse brands which have early understood the importance of upgrading their luxury image such as ValentinoBottega Veneta and Tod’s are likely to avoid recession in 2014.

Sectors such as hospitality and travel have also been suffering from an increasing pressure on rates, mainly from corporate sales. This pressure has been felt by both luxury and ultra luxury hotel chains, with an ebbing demand for suite product categories and a lower non-rooms revenue, such as Food & Beverage.

For new developments, most luxury hotel operators have been giving in to pressure from owners and developers, compromising on furnishings, facilities etc. That is why, luxury giants such as Starwood Hotels (St Regis, Luxury Collection, W Hotels) and Hyatt Intl(Grand Hyatt, Park Hyatt, Andaz)are likely to weather the possible 2014 better, thanks to their strategic branding positioning, which they care leverage on.

Smaller chains which boast a model of operating and investing are also less likely to be affected by the ongoing uncertain economy, their opportunity is differentiation and a product with no compromise on quality: PeninsulaSwireDorchester CollectionBulgari Hotels & Resorts and Oetker Collection.

Rosewood Hotel, London

Single brand luxury chains such as Mandarin OrientalFour SeasonsOrient-Express,Rosewood Hotels remain more exposed and in many cases with significant inconsistencies from property to property. That is why, we are likely to see growth generated especially by take-over and re-branding of existing properties, a much more feasible and cost efficient business model. Capella HotelsViceroy Hotels and Langham Hotels are likely to continue to to seek for a more defined positioning, currently oscillating between premium and luxury.

MOSCHINO AFFIDA LA DIREZIONE CREATIVA DEL BRAND A JEREMY SCOTT

Jeremy Scott Portrait

Moschino SpA comunica che Jeremy Scott è stato nominato Direttore Creativo del brand. La collaborazione avrà inizio con la nuova collezione autunno/inverno 2014-2015, che sfilerà a Milano in occasione della settimana della moda a febbraio 2014. Una scelta compiuta nel pieno rispetto del Dna del brand, poiché Jeremy Scott rappresenta non solo un comunicatore eclettico ed estremamente contemporaneo ma sopratutto un designer in grado di reinterpretare l’identità e l’essenza di Moschino. La Maison ringrazia Rossella Jardini per la sua lunga e sentita collaborazione, consapevole del fatto che, avendo contribuito a mantenere vivo il brand dal 1994 ad oggi, rimarrà sempre un’importante figura di riferimento.

Moschino SpA is pleased to announce that Jeremy Scott has been appointed Creative Director of the brand. He will debut with the fall/winter 2014-2015 collection during the Milan fashion week in February 2014. This appointment respects the DNA of the brand as Jeremy Scott represents not only an eclectic and contemporary communicator but most of all a designer capable of re-interpreting the identity and the essence of Moschino. Moschino thanks Rossella Jardini for her enormous contribution in keeping the spirit of Moschino alive and at the forefront of fashion from 1994 to the present day. Her creativity and tenacity drove the brand on and Rossella Jardini will always remain a crucial part of our history.

 

Shows must go on (line)

 
Di Caterina Zanzi 
(http://www.pambianconews.com/approfondimenti/il-fashion-si-fa-social/)

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Le recenti fashion week nelle capitali del lusso hanno indicato nuovi protagonisti. Non siedono ai lati delle passerelle, ma stanno in un ‘altrove’ che è ovunque e in ogni istante. 
E la moda dovrà fare i conti con un mondo social.

Qualcuno dice che sono state le sfilate del web. Qualcuno dice che il web c’era già da un po’. Qualcuno dice che il bello della rete deve ancora arrivare. In effetti, capire se siano state queste le sfilate di internet e se quelle appena terminate si possano definire a buon diritto le settimane della moda 2.0 è impresa difficile. Se la dimensione digitale della stagione degli show non è più una novità, tuttavia, l’edizione di questo settembre sembra aver stabilito una sorta di spartiacque tra un ‘prima’ – definito da un generale, ma dispersivo, attivismo internettiano – e un ‘dopo’, connotato da una maggiore organizzazione dei brand di moda sul web. Quanto sta accadendo nelle istituzioni della moda è indicativo: a Londra, il British Fashion Council è guidato dalla fondatrice del sito di e-commerce Net-a-Porter (vedi taglio in questa pagina), mentre a Milano è stata appena nominata CEO della Camera nazionale della moda una manager inglese con una carriera nell’industria pubblicitaria alle spalle e un forte know-how digitale (vedi pagine seguenti).

EFFETTO PINTEREST

L’esempio più eclatante della discontinuità ideale tra un ‘prima’ e un ‘dopo’ arriva da Pinterest, il social network basato sull’idea di poter creare un catalogo on-line di ispirazioni, costituite da immagini nella stragrande maggioranza dei casi, condivise dagli utenti di tutto il mondo. In occasione delle fashion week il social che, letteralmente, ‘mette insieme gli interessi’ (dall’inglese pin, appuntare, e interest, interesse), ha coinvolto svariati marchi di moda, retailer e stilisti insieme a nomi del giornalismo e dell’editoria, nel lancio di un canale dedicato per seguire le passerelle. Il progetto ha riguardato tutte e quattro le fashion week di Londra, Milano, New York e Parigi, oltre ad aver dedicato un ‘board’, una finestra, ai talenti emergenti. Non si è trattato, dunque, di una spontanea e fisiologica evoluzione della rete, ma di un vero e proprio accordo siglato per dai vari attori del sistema moda. Un cambio di passo certificato da un impegno comune che, al di là dei risultati avuti, lancia segnali importanti per il futuro non solo della moda stessa, ma di tutti i meccanismi che ne alimentano la crescita, dal marketing all’editoria. L’iniziativa ha trovato l’appoggio di un nutrito gruppo di maison e di testate giornalistiche, che prima e durante le sfilate hanno dato vita a una sorta di ‘visual blogging’ in tempo reale, pubblicando immagini direttamente dai backstage o dalle passerelle. Sulla pagina di Milano compaiono, tra i tanti, i nomi di Moschino, Gucci e Tod’s, mentre sui board delle altre tre città spiccano marchi come DiorCartier e Marc Jacobs. Addirittura, in occasione della fashion week di Milano, il social network dedicato alla condivisione di fotografie ha realizzato la prima versione del sito in lingua italiana, manifestando l’intenzione di espandersi nel nostro Paese partendo proprio dal settore per cui siamo conosciuti nel mondo: la moda. Terzo social network negli Stati Uniti e in crescita a livello mondiale da 1,2 a 70 milioni di utenti nell’arco di tre anni, Pinterest pare avere ancora qualche difficoltà in Europa e in Italia, dove per ora stenta ad affermarsi. Per risollevare le sorti nel nostro Paese, la piattaforma ha puntato molto sull’hub modaiolo. Tuttavia, nonostante abbia dimostrato la capacità di attrarre un buon numero di marchi, risulta difficile dire che l’operazione abbia passato l’esame. Infatti, pare non sia riuscita a raccogliere un’adesione davvero convinta da parte degli utenti. L’entusiasmo, che sul social della ‘P’ si esprime in termini di ‘repin’ (il corrispettivo del ‘retweet’, ovvero ripubblicare sulla propria bacheca il contenuto di un altro utente), pare non avere raggiunto obiettivi ragguardevoli. La maggior parte delle immagini pubblicate dai marchi, dai blogger o dalle testate non supera la cinquantina di ‘repin’. Noccioline, se si considera che gli stessi contenuti ricevono quotidianamente migliaia di ‘like’ su altre piattaforme, da Twitter a Facebook fino a Instagram. Uno dei punti deboli del progetto sembra essere la mancanza di uno standard che, in via preliminare, abbia messo d’accordo i partecipanti circa le modalità di adesione all’iniziativa. Spesso i board si sono trasformati in pagine troppo simili a réclame e l’effetto generato è stato nel complesso caotico. Se Kenzo ha proposto i momenti migliori delle passate edizioni delle fashion week, Marras ha postato immagini del dietro le quinte. Benetton ha scelto di dare spazio alla collezione in corso per l’autunno-inverno 2013, mentre Dior ha preferito immortalare ogni singolo look delle sfilate. Dal canto suo, il mondo dell’editoria ha deciso di partecipare all’iniziativa dando rilievo, ciascuna testata per conto proprio, ai défilé migliori. Il contributo delle fashion blogger è arrivato, invece, con la consueta pubblicazione dei ‘selfies’ (autoscatti immortalati nelle più disparate situazioni) o dei prodotti preferiti (si tratta, in molte occasioni, di un cortese ‘cambio merci’).

L’ANIMA SOCIAL DELLA MODA

Ma l’hub promosso dal social network statunitense non è certo l’unico progetto ad aver coinvolto i marchi della moda: questi ultimi, oltre a trasmettere gli ormai classici streaming delle sfilate, stanno agganciando sempre nuove modalità di engagement del pubblico volte a toccare veri e propri tasti emozionali. Si tratta di un grande passo avanti rispetto agli esordi sul web delle aziende di moda che in un primo momento erano sembrate disorientate e in difficoltà nell’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione. I marchi fashion, il cui successo è fondato in larga parte su una componente aspirazionale, all’inizio dell’era digitale trovavano estremamente difficile sintetizzare i propri messaggi nel linguaggio particolare dell’online. Gradualmente, però, le iniziali comunicazioni unilaterali nelle reti sociali con meri scopi di vendita o di auto-promozione hanno lasciato spazio a interazioni piú genuine e coinvolgenti tra marca e cliente. I pionieri del web come TopShop eBurberry sono stati subito seguiti da una fila di marchi interessati a controllare la propria brand awereness nel regno del virtuale. E se alcuni marchi del lusso come Hermès hanno preferito limitare al massimo la propria presenza temendo che l’esposizione online potesse di fatto sminuire il loro fattore ‘élite’, molte altre aziende hanno cavalcato l’onda con grande successo sperimentando, per contro, un notevole aumento del proprio valore. Per esempio, marchi come Oscar de la RentaKate Spade hanno saputo approfittare delle opportunità offerte dai social, utilizzando i vari profili in maniera coerente tra loro e, soprattutto, dando prova di una straordinaria capacità di legare i prodotti proposti al quotidiano dei clienti. Il primo brand, ad esempio, ha collegato tutti i propri profili social al nome di OscarPRGirl, l’appena trentenne direttrice delle comunicazioni che con un tono fresco e simpatico racconta su tutte le piattaforme le novità dalla maison. Ma anche Kate Spade si è dimostrato da subito molto attivo, riempiendo le proprie pagine online con pensieri, video teaser e sneak peek di collezioni future. Nel corso delle ultime fashion week le aziende di moda hanno avuto modo di affinare ulteriormente le proprie tattiche: c’è chi ha scelto Twitter partecipando alle discussioni tra gli utenti sotto il cappello di hashtag come #NYFW o #MFW, o chi ha optato per Instagram postando immagini in esclusiva o, ancora, chi è risultato particolarmente attivo nella produzione di contenuti su Tumblr. Ma il binario non corre solo dal mondo reale verso l’etere. La direzione di influenza segue anche il percorso inverso: Burberry ha addirittura anticipato il proprio show londinese dalle 16.00 alle 14.30 per aumentare al massimo la sua visibilità tra asiatici e statunitensi. Sarà proprio sulla capacità del virtuale di modificare il reale che si giocheranno, con ogni probabilità, le più intriganti sfide del futuro.

Qui Londra, la settimana diventa #LFW

Il British Fashion Council raccoglie i risultati della svolta new media annunciata dalla presidente Natalie Massenet (ex Net-a-Porter).

Se la settimana della moda inglese si è trasformata da appuntamento dedicato agli addetti ai lavori, quale era fino a qualche stagione fa, a evento globale seguito in diretta da San Paolo fino a Tokyo, molto lo si deve all’apporto dato dai social media. Il British Fashion Council, l’organizzazione britannica che riunisce i designer inglesi ed è responsabile dell’organizzazione della fashion week londinese, non si è certo fatto scappare l’opportunità e, anzi, esattamente un anno fa ha eletto numero uno dell’associazione Natalie Massenet, nientemeno che la fondatrice del sito di e-commerce di moda Net-a-Porter, mettendole a disposizione un budget significativo (attorno ai 10 milioni di sterline) per i vari progetti. Questa edizione della settimana della moda londinese ha dato i primi frutti dell’organizzazione dettata dall’esperta di new media che, nel corso del discorso di benvenuto, ha svelato un piano di tre anni volto a riposizionare la Gran Bretagna nel risiko della moda internazionale allo scopo di consegnarle un ruolo centrale. La nuova strategia si basa su cinque pilastri, di cui quello portante è, naturalmente, l’innovazione digitale (gli altri sono business, reputazione, formazione e investimenti). A sovraintenderlo e controllarne gli sviluppi e i progressi è stato chiamato, per una consulenza, addirittura Peter Fitzgerald, direttore di Google Uk. “Vogliamo che Londra diventi la destinazione globale del fashion”, ha detto Massenet. Per farlo, si è alleata in primis con l’emittente tv Cbs, che una volta a settimana trasmetterà sui propri canali il notiziario dedicato alla moda #FashionFriday: un’iniziativa rivolta al pubblico di massa, visto che i contenuti Cbs sono in onda nelle metropolitane. Ma non solo. Massenet ha proposto anche l’utilizzo dell’hashtag #LFW sui social network più importanti e ha stretto una partnership con Instagram per condividere sull’applicazione i look migliori tra i presenti alla Somerset House, il luogo in cui si svolgono la maggior parte degli eventi. I brand hanno dimostrato di gradire il fermento online: e non solo per aumentare la propria visibilità sul web ma anche, e soprattutto, per spingere il consumatore all’acquisto. Per esempio, TopShop si è alleato con la piattaforma digitale di Chirp per sviluppare una app che, oltre a proporre i contenuti dello show londinese, permetteva l’acquisto immediato dei capi in passerella. Un’opzione che ha di fatto permesso al brand britannico di superare con agilità il gap tra gli abiti proposti alla sfilata e il loro acquisto, che senza l’ausilio di internet sarebbe stato di fatto rimandato di sei mesi. Il British Fashion Council ha stimato che gli ordini dell’edizione della moda londinese appena conclusa si aggireranno attorno ai 100 milioni di sterline: c’è da giurare che, se la maggior parte proverranno da buyer e retailer, ve ne sarà una piccola parte, destinata a crescere, che arriverà dai singoli fan desiderosi di essere i primi a indossare i nuovi prodotti. (c.z)

Qui milano, il nuovo corso resta ‘old style’ sulle reti

La Cnmi si ristruttura e la recente fashion week ottiene ampi consensi. Ma la svolta social attende il nuovo CEO Jane Reeve (e il suo budget).

L’aria che si è respirata a Milano nell’ultima fashion week week è stata quella del ‘nuovo corso’. Un’aria auspicata dal sindaco Giuliano Pisapia e dal presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana Mario Boselli, e confermata a più voci dalla stampa internazionale e straniera, Anna Wintour compresa. Nel corso della settimana sono rimbalzate le voci del nuovo CEO, confermate poi a fine settembre: alla guida della Cnmi, accanto a Boselli, è stata nominata Jane Reeve, inglese, ma in Italia da 25 anni. La manager, ex numero uno dell’agenzia pubblicitaria J.Walter Thompson Italia, nella sua carriera ha sempre dato prova di credere e puntare sui nuovi mezzi di comunicazione. Dunque, il suo arrivo appare in linea con il posizionamento sulla rete e con l’apertura alla condivisione e interazione col pubblico da parte dell’associazione della moda tricolore. Il nuovo corso attenderà l’insediamento di Reeve, previsto per Natale, e avrà a disposizione un budget di superiore ai 4,5 milioni di euro. Perciò, ancora, le attività online promosse dall’organizzazione restano minime. Analizzando la presenza della Cnmi sui social, i numeri di interazioni sono ridotte all’osso: una sola ‘board’ su Pinterest (inaugurata proprio in occasione del progetto che ha riunito tutte e quattro le fashion week), 60 immagini caricate su Instagram e i follower su Twitter fermi a quota 2mila (briciole rispetto al profilo della London Fashion Week seguito da 462mila persone). Se la strategia social della Camera è da rivedere, sono apparse più intraprendenti le testate giornalistiche italiane, che nelle ultime stagioni hanno inventato sempre nuovi modi per coinvolgere i propri lettori. Per esempio, il giorno prima dell’ultima edizione di Milano Moda Donna, il sito del settimanale di Repubblica D ha fatto dialogare in diretta su Google+ stilisti (tra i quali Giorgio Armani, Donatella Versace e Frida Giannini) e fan tramite una live-chat video. Anche Vogue Italia si è organizzato e l’ha fatto già a partire dalla scorsa stagione: a febbraio di quest’anno, infatti, proprio in concomitanza con la settimana della moda, la testata guidata da Franca Sozzani ha lanciato la propria app ‘Fashion in Vogue’ (in partnership con Salvatore Ferragamo) dove è presente una selezione di sfilate in streaming. (c.z.)

 

5 app per gestire il vostro social media marketing in movimento

by Claudia Ingrassia aka Naoko  – http://www.ninjamarketing.it

La maggior parte dei professionisti della comunicazione sono troppo impegnati per pianificare e gestire le strategie di social media marketing esclusivamente dalla loro scrivania.

Oggi, per fortuna,non è necessario stare in ufficio per poter gestire i social network: leapplicazioni mobile consentono non soltanto di creare contenuti (testi, immagini, video) direttamente dai vostri devices, ma anche di programmare, calendarizzare e monitorare i vostri social media.

Quest’ultimo aspetto è fondamentale all’interno di una strategia social: analizzare in tempo i risultati di un piano di marketing significa rispondere velocemente ai problemi e correggere il tiro per tempo.

A questo punto vi starete chiedendo quali app innovative, introvabili (almeno per gli app store italiani) e costose vogliamo proporvi; invece vogliamo parlarvi in parte di quelle app che potreste già avere sui vostri device e che utilizzate più ad uso personale che non lavorativo, in parte di app che avreste dovuto scaricare tempo fa ma che forse avete sottovalutato.

Lo spunto per questo articolo ci viene dalle considerazioni per Inc.com di Dave Kerpen, CEO of Likeable Local, uno dei massimi esperti a livello mondiale di social media e autore per il New York Times.

Instagram

La prima app che consiglia Kerpen è Instagram, una social app mobile pura. Le migliori foto sono quelle che “accadono” quando meno te lo aspetti: se il vostro brand o quello del vostro cliente è su Instagram, utilizzate questa occasione per creare contenuti fotografici originali senza bisogno di editing professionale.

Mettete in movimento la creatività: scattate foto in giro per l’ufficio, in azienda, dei vostri retail, dei clienti soddisfatti, degli eventi, dei vostri dipendenti. Ricordate che ora potete fare anche video grazie ad Instagram: guardate il video di Ben& Jerry’s, se non siete golosi e dunque deboli di cuore…

Facebook – Gestore delle Pagine

Facebook ha una propria app per gestire le pagine aziendali dal cellulare, questo da più di un anno, nulla di nuovo dunque. Esiste per iOS e per Android, eppure scommettiamo che ancora molti di voi si ostinano a credere che non sia indispensabile.

Proviamo a farvi un esempio che vi convincerà definitivamente: avete più di una pagina aziendale da seguire, di due clienti diversi. Mettiamo il caso che un cliente sia un ristoratore e che l’altro sia invece il produttore di prodotti ecologici cruelty free.

Considerate ora una normale giornata di stress lavorativo e il ristoratore che vi chiede urgentemente di pubblicare la promozione del suo ristorante sul menu di carne.Voi siete fuori ufficio, pubblicate tutto dall’app ma ecco che l’immagine di una bistecca alla fiorentina compare sulla timeline del vostro cliente che vende prodotti ecologici.

E poiché piove sempre sul bagnato, immaginate di commentare negativamente l’accaduto sul vostro profilo personale e scoprire che invece avete ancora una volta sbagliato timeline…

Robe da film? Chi gestisce profili social potrebbe raccontarvi molti aneddoti reali di questo tipo. Dunque perché continuare a rischiare e non scegliere di gestire le pagine aziendali e il profilo personale su app differenti?

Ovviamente è inutile dire che quest’app conta anche features importanti come il poter gestire gli amministratori della pagina e visualizzare gli Insights.

Hootsuite


Due delle app preferite di Dave Kerpen sono HootSuite e Bufferapp. Di quest’ultima vi abbiamo recentemente parlato come tool indispensabile per aumentare la vostra produttività.

Hootsuite è una piattaforma molto conosciuta dai social media manager e non solo; dal sito è possibile infatti programmare fino a 5 account (versione free) provenienti da social network diversi, a scelta tra Facebook, Twitter, Google Plus, Linkedin, Foursquare ed è anche possibile gestire il proprio account su WordPress.

Le app invece permettono la programmazione per i profili Twitter, Facebook, Facebook Pagine e il checkin su Foursquare se installate su device iOS, mentre consentono la gestione anche di profili Linkedin nel caso di Android. Ottime le funzioni in generale delle app di Hoosuite:traduzione messaggi da/in più di 50 lingue; programmazione di messaggi da inviare in futuro; visualizzazione statistiche; coordinate della tua posizione per i messaggi; shortlinkcon Ow.ly; “Bump™” per aggiungere rapidamente i tuoi amici.

Flipboard

Di Flipboard vi abbiamo già parlato, sottolineando l’importanza di questa app social per ilpersonal branding e per la content curation ma questa volta ve lo consigliamo per un altro motivo.

In un progetto di social media marketing, è importante avere a disposizione molte fonti per reperire contenuti sulle tendenze di riferimento per il nostro brand: Flipboard consente di scovare molte news tra quelle condivise dai nostri amici sui social network e tra quelle condivise da tutti gli utenti dell’app.

Foursquare for Business

Infine, Foursquare è un’altra social mobile app indispensabile, soprattutto per quei brand che lavorano con retail e che possono trovare giovamento dalle tecniche di marketing di prossimità. Se la vostra azienda è su Foursquare, vi è strettamante necessario installare sul vostro device l’app Foursquare for Business ( disponibile per iOS e Android in lingua inglese): potrete monitorare i check-in nei vostri store, lanciare promozione, condivideregli aggiornamenti anche su Facebook e Twitter.

E-commerce: piattaforma lenta? Dopo 3 secondi l’utente se ne va…

by http://www.techeconomy.it

Per l’ il tempo è denaro. A quantificarne il peso è Borland, società di proprietà della MicroFocus, che analizza la quantità di tempo che gli utenti trascorrono sui siti di vendite online con uno specifico tool. Lo Silk Performer, questo il suo nome, analizza i tempi di risposta dei siti e dei clienti in modo da sapere quanto tempo impiega una pagina dell’e-commerce a proporre informazioni all’utente e quanto quest’ultimo è disposto ad aspettare la risposta prima di lasciare la pagina.

Da un’analisi condotta nel trascorso periodo natalizio, emerge come qualsiasi ritardo della pagina web nella risposta all’utente influisca pesantemente sull’abbandono della  consultazione e sulla possibilità di farvi ancora ritorno.

Nello specifico, secondo , un solo secondo di ritardo della piattaforma e-commerce genera l’11% in meno di pagine visitate; il 16% di riduzione nella costumer satisfaction; il 7% in meno di conversione della visita in acquisto. Tipicamente, i clienti attendono i tempi di risposta entro due secondi, mentre il 40% preferisce abbandonare la pagina dopo l’attesa di 3 secondi.

A prescindere dal dispositivo utilizzato, il dato meno incoraggiante per le piattaforme e-commerce è che l’88% dei consumatori che hanno abbandonato le pagine web, non vi fanno più ritorno per concedere una seconda occasione. Anche sul fronte mobile il dato è pesante: il 74% degli utenti abbandona il sito dopo aver atteso cinque secondi.

Secondo questi calcoli, quindi, Amazon, per ogni secondo perso, perderebbe più di 1,6 miliardi di dollari l’anno.

Giuseppe Gigante, regional marketing manager di  ha dichiarato: “è ora dimostrabile dati alla mano, che gli utenti online perdono facilmente la pazienza quando non ricevono risposte adeguate e veloci. Molti siti di e-commerce hanno perso opportunità di guadagno, a causa degli alti livelli di traffico, proprio nei periodi migliori, e proprio a causa del ritardo nel caricamento delle pagine”.

Non mancano alcuni esempi italiani. Nel periodo natalizio, Expedia.it ha fatto registrare attese di risposta di 10 secondi nei peak time (rispetto ai 6 secondi abituali), mentre Mondadori.it è arrivata a far attendere i suoi ipotetici consumatori per un tempo di 17 secondi (più del triplo rispetto ai normali tempi di attesa).

“I siti retail devono necessariamente affrontare il problema dell’impatto dei tempi di attesa in periodi di sovraffollamento” prosegue Gigante “L’e-commerce sta crescendo e l’utilizzo di smartphone è in aumento in tutto il mondo. I dati rilasciati a dicembre 2012 da Mobile Lens dimostrano che in Italia la penetrazione dell’utilizzo di smartphone ha raggiunto il 51,2% e che l’82% di loro ha utilizzato il proprio dispositivo per cercare un prodotto o un servizio, secondo dati  Our Mobile Planet Italia. La sopravvivenza dei brand dipende ormai da una forte presenza su differenti canali, e le promozioni online sono una grande opportunità per catturare nuovi clienti. Una reazione inadeguata del sito riduce i guadagni e danneggia la brand reputation”.