Internet: dove non spendere i soldi

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Dove non spendere i soldi quando si investe nel web. Sfrutto l’ispirazione della brava Alessandra nel suo libro di Natale, a sua volta ispirata da John Jantsch, inserendo i miei commenti in merito e aggiungendo qualche suggerimento mio.

Ci sono cose che non vale la pena pagare e che occorre ricordare:

  • La pubblicità non tracciabile. Internet è prima di tutto tracciabilità di come si muovo gli utenti. In modo preciso, molto preciso, preciso come non è mai stato dall’origine dei tempi. Imparare a definire KPI su cui valutare le campagne di web advertising è il bello del web. Non utilizzarlo è masochistico, poco producente, inutile. Siete giustificati solo se avete un impero editoriale basato su carta e media tradizionali che il carma tracciabilità sta progressivamente facendo affondare. Conversione è il dictat, ROI il caposaldo, risultati tangibili l’ergo sum sono i pilastri per ogni web media planner che si rispetti (come per i supereroi dello Studio). Nel calderone delle pubblicità non tracciate vi sono tipicamente portali (da Pagine Gialle al sito privato directory locale), DEM incontrollate, display su piattaforme proprietarie dell’editore, iniziative social).
  • Referenze e segnalazioni. Basta mettere la marketta alla base della segnalazione.  Se uno lavora bene o ci faccio sopra una accordo commerciale come partner, o se la segnalazione è occasionale accontentiamoci del semplice “dare per avere”. Poi se le cose funzionano, sta a chi ha ricevuto il segnalato dare il suo grazie adeguato a chi ha segnalato. E’ per questo che, ad esempio, sui servizi non di core dello Studio segnaliamo partner o agenzie meglio strutturate senza troppi problemi ai clienti (cambiandole senza problemi quando qualcuno lavora meglio). Ed è per questo che Yahoo! quando ancora credeva di saper fare pay per click mi ha fatto sorridere alla proposta di darci grosse provvigioni in cambio di clienti che investivano sul loro circuito.
  • Recensioni finte. Si capiscono subito. E se son fatte da professionisti comunque hanno le gambe corte e la bagarre che possono scatenare è spesso devastante. Evito ad esempio di citare quell’hotel che per Natale mi ha inviato gli auguri e un buono da 15 Euro da spendere al loro bar a seguito di una recensione positiva su tripadvisor. Solo per questo lo stimo gia meno e son tentato di segnalarlo negativamente… Pensate a fare cose belle e utili. O a capire cosa si aspettano i vostri clienti (ma va?). Le recensioni pioveranno a bizzeffe.
  • Link Building. Se devo pagare link per posizionarmi su Google sono gia messo male. Non ho value proposition. Ho concorrenti devastanti. Non merito il posto dove vorrei piazzarmi. Tenendo conto del fatto che oramai Google ha una ottima intelligence per identificare i link buoni da quelli meno, se abbiamo soldi da spendere invece di rischiare il ban per azioni borderline, impariamo a fare PR online o a fare in modo che il link arrivino spontanei dagli utenti. Lo so, costa fatica e tempo, ma fidatevi, lavorare significa anche faticare.
  •  Liste indirizzi email. Odio chi vende DB di email spesso non autorizzate. Sforziamoci di creare amore nelle nostre relazioni e nel costruire campagne di lead generation, e scopriremo che la gente ce lo da volentieri il suo indirizzo, e che i nostri 5mila profili rendono molto ma molto molto di più di quei 500mila comprati dal fornitore spesso a buon prezzo. Evitando anche conseguenze spesso non previste: sputtanamento del brand, pubblicità negativa soprattutto sui social media, denunce, posizionamento nelle liste di spam dei server, risultati scadenti.
  • CMS proprietari. Nell’80% dei casi non servono agli scopi del progetto ma creano poco utile dipendenza con l’agenzia web con cui si lavora quando va bene; investimenti inutili e “personalizzazioni” costose (anche per cose comuni) quando va male; rifare tutto nel caso di migrazione agenzia (cosa che è sempre più una regola che un’eccezione oggi).
  • Stagisti. Qual’è il vostro bene più prezioso? Voi stessi. O meglio, quello che la gente sa di voi, dei vostri prodotti o dei vostri servizi. Quello che la gente sa deriva dal vostro modo di comunicare, di creare relazioni, contenuti, argomenti, che nel web oggi vuol dire post sul blog, contenuti sul sito, facebook, twitter… Sicuri che la persona migliore a cui affidarle il vostro bene più prezioso sia uno stagista o lo stagista dell’agenzia che deve farvi il prezzo stracciato?

5 Tips to Promote Your Company on Pinterest

 by 

Pinterest Logo

Facebook and Twitter have a serious competition in the form of Pinterest. The new social network site has had an amazing growth from the start and got eleven million hits in just 1 month! Many businesses around the world are using Pinterest today to attract the attention of Pinterest users and also to build traffic to their company pages. It is said that Pinterest can drive more traffic to your website than Facebook. So what is Pinterest? And how can you use its features for the advantage of your business?

Pinterest is a social sharing site. It uses a virtual pin board theme where you can pin images, videos and other content that you would like to share with other users.  It is easier for product based companies to use Pinterest than service based ones as the site is based heavily on image sharing. But many service companies are finding ways to use Pinterest for promotion.

Tips to use Pinterest for Business

Here are 5 tips that you can make use of while promoting your company on Pinterest.

#1 Content

Pinterest has some rules and guidelines regarding self promotion. So go through “Pinterest Etiquettes” before creating your company page. Make sure that the content you are sharing has relevance to your company’s products or services. One thing that you should keep in mind is that Pinterest is not a market place and the users aren’t there to buy products, so don’t try too hard to sell your products there.

#2 Interaction

One more important thing to do is to interact with your customers.  You can create some contests and provide some giveaways to the winners to engage them just like you use apps on Facebook. You can later pin the images of winners on your page and share it with the world, which by itself can be a very effective tool for promotion.

#3 Followers

Just like in Twitter or Facebook, in Pinterest too followers are to be given importance. You can pin your followers’ images like you RT your followers’ tweets on Twitter. Whatever you do, make sure that Pinterest is based on users’ lifestyles and all that you do must conform to their lifestyles.

#4 Creativity

Use your imagination to create promotion based content for your brand. Creative promotional activities will definitely attract users. “Gifts” section of Pinterest can be leveraged to your advantage if you know how to be creative with it. Pinterest allows you to put price tag on the “gift” you have pinned.

#5 Follow other brands

Like you follow big brands on Facebook and Twitter, use Pinterest to follow good brands too. Follow your followers to gain their attention. Whatever you do, it all boils down to one interest – Networking. Building network can provide you many benefits.

These are the five tips you can use to promote your brand on Pinterest. SEO experts are sure to find many other ways to build traffic to your websites with Pinterest. Developments will happen over time which can be beneficial to both individual users and businesses.

La social-invasion di Google nelle SERP dei personal brand

by Monica Incerti
L’invasione delle SERP di Google ad opera dei Social Network: una ricerca di Conductor dimostra il loro peso per le ricerche sui Personal Brand.

Sappiamo già molto bene quanto i social network stiano invadendo ogni ambito della nostra società, dal lavoro alla politica, dalla pubblicità alla scienza. Ma riusciamo a immaginare quale sia il peso che il più grande colosso della ricerca sul web, Google, assegna ai risultati provenienti da piattaforme social? E soprattutto, ha senso dare per scontato che tra i primi risultati troveremo Google+?

Per farci un’idea dell’importanza che Big G assegna ai Social e con che priorità indicizza le differenti piattaforme (tanto da aver aggiunto interessanti funzioni di monitoraggio social ad Analytics) , può essere utile analizzare una ricerca realizzata di recente da Conductor(azienda specializzata in tecnologie per il SEO) sulle query riguardanti la sfera del Personal Branding. Nello specifico, l’azienda ha utilizzato i nominativi di poco meno di 500 tra i blogger più influenti del web, una lista denominata Tech News People, ricavata da un elenco pubblico di Robert Scoble su Twitter (per chi non lo conoscesse, uno dei blogger più importanti al mondo per quanto riguarda applicazioni web 2.0), e ha lanciato tale lista sulla sua piattaforma SEO Searchlight.

Scopri come crearlo in pochi minuti Effettua subito una prova gratuita!

 

Ecco i risultati della ricerca:

La social-invasion delle SERP di Google per i personal brand

Dal grafico notiamo che:

  • Twitter è il più presente in SERP e anche il meglio posizionato: nel 91% dei casi c’è un riferimento all’account Twitter nei primi 10 risultati di Google, e nel 62% il link è nei primi 3 posti della SERP.
  • LinkedIn si piazza in seconda posizione, e supera Facebook sia a livello di presenza assoluta (67% contro 52%) che di posizionamento. Facebook infatti esce tra i primi 3 posti solo nell’8% dei casi.
  • Facebook conquista il terzo posto con un 52% dei risultati, ma con una bassa percentuale di posizionamento tra i primi tre risultati (solo l’8%, che per la popolarità di Facebook è molto poco).
  • Quora si posiziona al quarto posto, risultato molto interessante se si considera che supera lo stesso Google+ di 4 punti percentuali, e che nel 36% dei casi esce tra i primi tre risultati.
  • Google+, come Facebook, ha un bassissima presenza nella “top 3″ delle SERP del motore di ricerca (solo il 5%, contro il 36% di Quora), e si classifica al quinto posto. Dunque non era così scontata una sua predominanza in SERP.
  • Youtube sfiora il 30% dei risultati entro le prime dieci pagine di Google, con una presenza notevole dalla quarta posizione in poi.
  • The last but not the least – è il caso di dirlo – MySpace. Ormai considerato da tutti un social-zombie, MySpace è invece presente in quasi 1/5 dei primi dieci risultati di Google.

Assente illustre in questa ricerca è Pinterest, il social più in voga del momento, che sembra non comparire mai nei primi 10 risultati per ricerche relative ai personal brand.

Burberry, l’astro nascente del Digital Fashion

by Jessica Noguez

burberry social media

Nel primo decennio degli anni 2000, Burberry stava vivendo un incubo a livello di brand perception.

Il popolo inglese ha iniziato ad associare questo brand, con una storia di 156 anni alle spalle, con i chav, una particolare tipologia di teenager britannici che usavano il cappellino Burberry come segno distintivo. Chi sono i chav? Forse il peggior stereotipo di gioventù in Inghilterra: violenti fanatici del calcio, con bassa educazione ed estrazione sociale, famosi per le risse ed il consumo eccessivo di alcool e droga. Il brand ne è stato danneggiato al punto che hanno dovuto togliere i cappellini dal mercato, e cercare di dissociarsi dal loro celebre tessuto, divenuto un uniforme per i chav.

Non è né la prima né l’ultima volta che un brand ha avuto problemi legati a promoter non voluti: si pensi ad Abercrombie&Fitch, che ha dovuto offrite dei soldi alla star del Jersey Shore ‘The Situation’ perché smettesse di indossare i loro abiti.

Per quanto riguarda Burberry, è evidente che un certo tipo di consumatori poteva fare grossi danni ad un brand così elegante e tradizionale.

burberry chavs

Negli ultimi anni hanno iniziato a prendere le redini della propria comunicazione di marchio con forza, riuscendo a spostarsi dalla percezione di “brand per chavs”  (è stato un processo lungo, come dimostra questo articolo del 2008 del Daily Mail). Ma c’è qualcosa di ancora più importante: oggi Burberry non è solo un marchio di alta moda, sta diventandouna vera e propria multimedia company, ed in grande espansione.

Non solo abiti di classe, dunque, ma anche attenzione nei confronti dei social network e dell’engagement con i consumatori. Con live stream delle sfilate ed interessanti iniziative nel web, il marchio ha ora milioni di fan, aprendosi sempre più ad un target internazionale (specie considerando che meno del 10% delle vendite è in UK).

Ma cosa stanno facendo di così speciale? 

Christopher Bailey, il Chief Creative Officer di Burberry, è entrato nel maggio 2001.  Undici anni dopo. ha rivoluzionato completamente il marchio, e la relativa strategia digitale. Sembra semplicemente essere un passo avanti a tutti.

In primis, Burberry sa sfruttare l’orgoglio di essere “Brit”, sponsorizzando personalità di spicco per stile e capacita, come musicisti, modelle ed attori, tra i quali la star Emma Watson.

Hanno lanciato Burberry Acoustic, un programma dove hanno selezionato alcuni artisti inglesi (come i The Feeling) e promosso le loro canzoni. Dimentichiamo i chavs: adesso Burberry rappresenta il meglio dell’Inghilterra.

Anche dal punto di vista marketing si muovono in modo impeccabile nel digitale. innovando la loro customer experience. Il marchio ha più di 10 milioni di fan su Facebook, risultato festeggiato con un video di ringraziamento:

Più di 600 mila persone seguono il brand su twitter, rendendolo il marchio di moda più seguito al mondo. Questo succede quando un marchio ha il coraggio di investire il 60% del loro marketing budget nel digitale (come di racconta il Financial Times). Una lezione che dovrebbero imparare anche molte aziende in Italia.

Tra le loro attività principali abbiamo uno shop online (in 45 paesi e sei lingue), diverse piattaforme (da The Art of the Trench a Burberry Acoustic), contenuti multimediali come la trasmissione live delle sfilate, download musicali su iTunes.

E una menzione speciale va al loro impegno in Cina: come spesso diciamo (ad esempio inquesto post) molti brand hanno iniziato a non considerare solo Facebook e Twitter come piattaforme di comunicazione social, specialmente nei paesi dove la gran parte degli utenti usa altri network. Nel mercato cinese Burberry si muove su Kaixin001 e Douban – due tra i principali “Facebook cinesi” – e su Youku, versione cinese di Youtube.

Ma anche una forte presenza in Sina Weibo, corrispettivo di Twitter nel il gigante asiatico. Burberry è il marchio di moda più attento all’engagement in questa piattaforma da 250 milioni di utenti: la loro strategia conversazionale si basa sull’attenzione agli influencer nel mondo di moda e design, e sull’integrazione con gli eventi offline (come si mostra qui)

burberry sina weibo

La pagina Facebook ha comunque un ruolo dominante: ad esempio il profumo Burberry Body è stato lanciato proprio li, con promozioni e free sample in cambio di accesso alla loro applicazione. Ed anche lo spot è stato prima largamente spinta nel loro YouTube channel, per renderla virale nei social network ben prima dei passaggi TV.

Burberry ha creato le “tweetwalk”, un trend che ora altri fashion brand stanno seguendo. Hanno inaugurato la collezione primavera/estate 2011 mostrando le foto della passerella su Twitter, con gran successo. Hanno distribuito un lookbook su Twitter, addirittura prima che la stampa stessa potesse averlo.

E l’idea della “tweetwalk” funziona ancora: ogni sfilata è occasione di confronto diretto con i fan, e grande buzz su Facebook e Twitter in tempo reale.

burberry twitter

Assieme al broadcast live sono stati attivati dei canali di vendita online, disponibili 72 ore dopo l’evento con consegna entro sei/otto settimane. Questo è anche un segnale di rottura con il sistema di distribuzione tradizionale di mostrare i capi un anno prima della messa in vendita. Infatti, Bailey ha criticato il concetto di “stagione”, ragionando sul fatto che mentre in Europa e Nord America è estate nell’emisfero sud è inverno. non fa una piega, direi.

burberry facebook

La loro scelta di comunicazione pubblica su Facebook non prevede una comunicazione a due vie: gli utenti non possono postare contenuti nel wall, possono invece contattare il brand sul sito Burberry.com ed attraverso sistemi personalizzati di customer service.

“Un brand non è solo prodotto, è anche esperienza, e l’esperienza nasce al centro di una community” ha riportato Bailey (fonte: Mashable.com).

Burberry ha inoltre sviluppato una piattaforma per gli amanti del trench: Artofthetrench.com permette di condividere foto di questo indumento e commentarle, lasciando liberi gli utenti di condividere anche trench di altre marche. Il blogger Scott Schuman ha partecipato al progetto, fotografando gente con addosso questo indumento in ogni angolo del mondo.

Di recente, Burberry ha aperto le porte alla “mass customization” lanciando Burberry Bespoke: un servizio dove gli utenti possono disegnare ed ordinare il loro trench personalizzato, scegliendo taglio, materiali ed accessori. Il prodotto arriverà a casa in 4/8 settimane. E per chi non se lo può permettete… c’è sempre la possibilità di condividere la propria creazione su Twitter e Facebook!

burberry bespoke

Burberry dovrebbe forse preoccuparsi di non “democratizzare” troppo il marchio, specie dopo i problemi già avuti?Io credo di no: sapendo capire il potenziale dei Social Media e sapendosi muovere alla perfezione in questo ambiente, Burberry ha più controllo della brand reputation lasciando le porte aperte agli utenti.

Del resto altri marchi di lusso e moda si sono mossi in questa direzione, spesso con grande successo e senza perdere il loro valore. Si pensi al successo in crescita esponenziale di alcuni marchi d’alta moda nell’e-commerce, o all’iniziativa user-generated dello champagneVeuve Clicquot, raccontata su questo blog pochi giorni fa.

L’ultima mossa di Burberry? Apriranno il loro store più grande a Londra (nel cuore dello shopping di Regent Street) in occasione dei giochi olimpici. Del resto ci saranno molti visitatori da tutto il mondo, che vorranno avere un ricordo tipico del paese: cosa c’è dunque di meglio di un trench Burberry?

Il L2 think tank, che pubblica classifiche sulle migliori performance digitali dei brand considerando strategie di marketing sul sito, nei social network e nel mobile, ha definito il marchio come “digital genius”. Io credo se lo siano meritati, dato che sembrano aver compreso a pieno come la tecnologia e la comunicazione digitale siano oramai parte della vita di tutti, sia ricchi che poveri. E sanno come sfruttare questi elementi senza sporcare il brand.

Per questo sono riusciti a scrollarsi di dosso problemi di percezione non indifferenti, e diventare dei veri e propri pionieri nel digital branding.

Jessica Noguez